I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti sul vino europeo – e in particolare italiano – hanno sollevato non poche preoccupazioni tra produttori e distributori. L'export, che per anni ha rappresentato uno sbocco fondamentale per molte aziende vinicole italiane, rischia ora di subire un brusco rallentamento, con conseguenze economiche che potrebbero farsi sentire a lungo.
Ma se è vero, come amiamo ripeterci ormai quasi quotidianamente, che ogni crisi porta con sé un'opportunità, allora forse è il momento di guardare la situazione con occhi diversi.
Un cambio di rotta: riscoprire il mercato interno
Da anni, nel nostro Paese, si parla del calo dei consumi interni di vino. Complici i cambiamenti nelle abitudini, le restrizioni sulla guida in stato di ebbrezza e un generale spostamento verso esperienze più "occasionali", la bottiglia di vino – anche quella di alta qualità – viene spesso lasciata a prendere polvere in enoteca o a far bella mostra di sé nella carta vini dei ristoranti, senza essere valorizzata e quel che è peggio, senza essere stappata.
Ecco allora che i nuovi dazi americani potrebbero trasformarsi in un’occasione per invertire la tendenza: se non possiamo vendere all’estero come prima, forse è il momento di spingere con nuova convinzione sul mercato interno, incentivando la cultura del buon bere qui, a casa nostra.
Più bottiglie stappate nei locali: una missione possibile
Tutto il gran parlare che si sta facendo intorno al problema dei dazi e delle esportazioni di vino, ci ha fatto tornare in mente un nostro vecchio pallino, sul quale ogni tanto torniamo a rimuginare: un patto tra produttori, locali, enoteche e ristoranti.
Un patto che spinga a stappare senza remore le bottiglie importanti, anche, per esempio, come proposta alla mescita, rendendo il vino accessibile a un pubblico sempre maggiore, accompagnandolo con il racconto della cura e della passione profonda che è racchiusa dentro un calice. Trasformare sempre più il vino in un fatto culturale, che vada a soddisfare spirito e corpo.
Tutto questo non deve essere vissuto come un ripiego o una svendita, ma deve servire a dare valore al vino attraverso l’esperienza diretta, coinvolgendo i consumatori italiani e trasformando ogni bottiglia in un momento di scoperta. Il vino, dopotutto, è cultura, territorio, racconto. E nessuno meglio del pubblico italiano può capirne la bellezza e la profondità.
La sfida (e l'opportunità) per i produttori
Il momento di cambiare mentalità, a questo punto, non può più essere rimandato: meno dipendenza dall’export, più investimenti nella comunicazione e nella presenza sul territorio nazionale, a patto che sia una presenza davvero capillare, che non si limiti alle fiere e ai grandi eventi. I piccoli locali e le enoteche di qualità possono diventare i migliori alleati dei produttori, essere i veri ambasciatori del vino italiano... in Italia.
I dazi sono una sberla, ma svegliano
I dazi americani sul vino italiano non sono una buona notizia, ma possono essere il campanello d’allarme che serviva al settore per riscoprire la propria forza “domestica”. In un momento storico in cui il consumo consapevole, la qualità e il racconto sono al centro dell’esperienza enogastronomica, abbiamo tutte le carte in regola per tornare a essere i primi estimatori, e consumatori, dei nostri vini.
E noi al Tabernario siamo pronti a stappare!